Stagioni 1980-81 e 1981-82: Prove tecniche di scudetto

Un posto nei quartieri alti

La Roma conquista un secondo e un terzo posto in campionato e una Coppa Italia: ormai é stabilmente fra le "grandi" del calcio. Arrivano Marangon, Chierico, Perrone e Nela. E' assente a lungo Ancelotti, ma Pruzzo e Falcao segnano la rotta

La storia riprende il suo filo e torna all'arrivo di Falcao, 1980/81, seconda stagione di Viola e Liedholm, dopo il deludente settimo posto del campionato precedente. La Roma si impegnò in pochi acquisti collaterali, dopo l'arrivo di Falcao, precisamente quelli dei difensori Vincenzo Romano e Dario Bonetti, e dei giovani Sorbi e Birigozzi dalla Ternana. C'è una ragione precisa: la riapertura agli stranieri aveva provocato un'attesa quasi messianica, sembrava che tutti i problemi si risolvessero lì, nell'acquisto di un fuoriclasse del calcio internazionale. Nel caso della Roma risultò vero, ma fu una delle poche eccezioni. Fu una stagione tra le più avventurose, e non solo perchè si concluse con il gol di Turone che abbiamo visto e che fece divampare un incendio polemico esteso a tutto il campionato. La Roma fu protagonista di altri fatti straordinari, e ci rimise quasi sempre le penne. Lungo i confini del paradosso, si svolse l'avventura europea della Roma, vincitrice della Coppa Italia e quindi riammessa, tra unanimi consensi e fervidi voti augurali, nei tornei continentali. Anche questo era un segno del risveglio. Con le trepidazioni di una matricola la Roma si presentò il17 settembre allo Stadio Olimpico, contro gli arcigni tedeschi orientali (il Muro non era ancora caduto) del Karl Zeiss di Jena. Il campionato era cominciato da tre giorni, la Roma aveva vinto a Como, Falcao era ancora un affascinante mistero, nessun romanista disertòquell'incontro di Coppa. E fu un trionfo. Il supercannoniere Pruzzo aprì le marcature, poi segnò Ancelotti, infine fu la volta di Paolo Roberto Falcao: era il suo primo gol ufficiale, il mistero cominciava a svelarsi. Il campo di Jena era una tana, lo sapevano tutti, ma il superbo 3-0 ottenuto metteva la Roma al riparo da ogni pericolo: così sembrava. Anche perchè il campionato aveva dato confortanti riscontri: la Roma aveva battuto il Brescia poi aveva pareggiato a Bologna. E aveva segnato ancora Pruzzo, sempre lui. A Jena, dunque, a Jena! La trasferta fu preparata in un trionfo di entusiasmi: il ritorno avvenne tra silenzi avviliti e lividi. La Roma era stata eliminata. Com'era possibile, e il 3-0 che fine aveva fatto? La fine peggiore, perchè il Karl Zeiss aveva vinto con un incredibile 4-0. I tedeschi avevano attaccato con foga impetuosa, non avevano dato tempo alla Roma di ricomporsi, non le avevano dato respiri. Malignammo molto, tutti noi di parte italiana, su quell'incontenibile recupero dei tedeschi, che sembravano trascinati da energie estranee. Ma era solo un acido disappunto. E Falcao, come reagì? Disse una cosa semplice e importante: «Ho già capito tutto, della Roma e del calcio europeo». E benpresto si vide.

Svelato il mistero Falcao

Ma la gente, e soprattutto la critica, cosa aveva capito di Falcao? Fu adottata una linea di attesa. C'era un senso di cose sospese; la prudenza nasceva dalla difficoltà ad interpretare quel personaggio così complesso. Che Falcao fosse dotato di qualità notevoli, sembrava accertato, altrimenti non sarebbe stato nazionale brasiliano. Poi suggestionavano i suoi atteggiamenti, molto aperti, quieti eppure risoluti, i suoi discorsi sicuramente avveduti. Falcao era simpatico a tutti, su questo non c'erano dubbi. Però resisteva un certo riserbo, era una grande speranza collettiva ancora acerba, come se nessuno avesse il coraggio di esporsi per primo. Fu un passo dopo l'altro: Paolo Roberto Falcao si trovò ad essere l'idolo di Roma senza che mai fossero esplosi fanatismi. Un ragionamento lento, ma definitivo, irrevocabile. I fanatismi vennero dopo. Siccome la Roma non sapeva, non credeva di poter vincere lo scudetto, le anomalie e le disuguaglianze di comportamento furono notevoli. La prima fu un altro clamoroso 0-4 a Napoli, quando la Roma era in testa alla classifica. Subito dopo, però, i giallorossi realizzarono un'impresa rara, nella loro tradizione: quella di fadi a San Siro, quattro gol, a spese dell'Inter. Questi fatti rendono l'idea. Se la Roma ci avesse creduto, probabilmente l'annullamento del gol di Turone, a Torino, non avrebbe influito sulla classifica froale, nel senso che la Roma già avrebbe avuto un vantaggio decisivo. Mancò anche, e il fatto non è irrilevante, il punto di riferimento costituito dal derby. La Lazio, coinvolta nello scandalo delle scommesse e delle partite truccate, era stata retrocessa d'autorità in serie B, insieme con il Milan.

Arriva la Coppa: grazie, Tancredi

I tifosi premiarono Maurizio Ramon Turone per il più bel gol del campionato: proprio quello, il famoso gol ufficialmente mai segnato. Fu la più elegante reazione ai fatti di Torino che caratterizzarono tutta quella stagione. E a Torino, la Roma si prese una appagante rivincita, un paio di settimane dopo quel famoso 10maggio. Le due grandi rivali si ritrovarono di fronte, a torneo appena concluso, nella semifroale di Coppa Italia. Fu una sfida intensa, anche questa; in una situazione emotiva non ancora rasserenata, la Roma vinse ribadendo proprio nei confronti diretti la sua superiorità sui bianconeri; fu Ancelotti a segnare il gol decisivo. Nel ritorno, la Juve tentò con ogni impegno di recuperare, ma si fermò su un faticato 1-1. Che strano destino. Ancora a Torino, su quel campo amico-nemico, in quella tana ripetutamente violata, la Roma si aggiudicò la Coppa Italia: stavolta a spese dei granata torinisti,ovviamente, e grazie alle ripetute prodezze di Franco Tancredi.

Cade Ancelotti, addio scudetto

Il 25 ottobre 1981 era la sesta giornata di campionato. La Roma affrontava la Fiorentina. AI 9' del primo tempo Carlo Ancelotti, centrocampista giallorosso, affrontato in un rude contrasto dal fiorentino Casagrande, cadeva urlando il suo dolore. Veniva portato fuori in barella. Sembrava grave, ma i primi accertamenti esclusero ogni lesione dei legamenti del ginocchio sinistro. In un titolo enorme, che sembrava dare un senso di liberazione, un giornale annunciò: «Ancelotti non sarà operato: dovrà saltare quattro partite di campionato». Mancò solo quattro partite infatti, ma nel campionato successivo. Quell' 81/82 invece, Ancelotti lo saltò tutto, e durante un anno esatto trascorse, ferito e ingessato, un' esperienza che riproduceva quella di Francesco Rocca, e che dava ai tifosi romanisti gli stessi brividi. Anche per Ancelotti la lesione c' era, e grave. Quel giorno della caduta di Carlo, sesta giornata di campionato, svaniva il sogno-scudetto della Roma. Uno scudetto che stavolta rappresentava un obiettivo studiato e previsto. E'stata stranamente sottovalutata, da una parte della critica, la campagna acquisti operata da Viola e Liedholm dopo il famoso campionato del titolo negato. Eppure la Roma si assicurò un difensore di enormi potenzialità come Sabino Nela, destinato a diventare, con undici stagioni in maglia giallorossa, uno dei romanisti storici. Fu ingaggiato poi un altro difensore, Luciano Marangon, un po' troppo sciolto nel carattere ma con un notevole bagaglio tecnico, e Marangon ebbe infatti una stagione splendida. Infine la Roma chiamò il «libero» Perrone dalla Lazio e l'attaccante Chierico dal Pisa. Anche Chierico, durante quattro stagioni, ebbe bellissimi momenti. La squadra dunque c'era, ma non c'era più Ancelotti, infortunato. E qui il racconto impone una breve sosta dedicata a questo ragazzo emiliano, che ebbe nella Roma una parte decisiva. Il senso lucido di gioco che Ancelotti possedeva è dimostrato dal fatto di essere diventato, poi, il «secondo di Arrigo Sacchi in Nazionale. Quando si mette mano alle biografie dei nostri eroi sportivi, si cercano sempre aspetti esemplari ed episodi edificanti: alla fine della generosa indagine qualcosa da libro Cuore si trova. Ma che Carlo Ancelotti, abitando a Reggiolo, la mattina andasse a scuola a Modena e il pomeriggio si allenasse a Parma, è rigorosamente vero. Un girotondo quotidiano da logorar le fibre, e che esaltava invece il ragazzo, robusto di cuore e di cervello. Viola venne presto a conoscell1.a delle sue virtù perchè era amico del presidente del Parma, Ernesto Ceresini. Prima di trasferirsi alla Roma, Carlo realizzò il suo capolavoro: in uno spareggio con la 'lliestina, segnò due gol nei tempi supplementari portando il Parma in serie B.

Coppe ingrate, stavolta

Falcao dunque chiamava a raccolta i geni di quella Roma, ognuno dei quali possedeva una parte insostituibile delle potenzialità della squadra. Non si poteva fare a meno di Bruno Conti, per citarne uno, e non si poteva fare a meno di Carlo Ancelotti. Quando l'infortunio lo tolse di scena, gli equilibri caddero. Altri incidenti di gioco colpirono i romanisti, dopo quello gravissimo di Carlo, e la Roma potè solo arrivare terza, lontana dalla solita Juventus e dalla Fiorentina che si giocarono lo scudetto nell'ultima giornata: pareggiando a Cagliari (Fiorentina) e vincendo a Catanzaro (Juve) su rigore negli ultimi minuti. Anche le Coppe confermarono l'incompiutezza della Roma, in quelle condizioni. Nella Coppa delle Coppe, dopo aver passeggiato contro gli irlandesi del Ballymena la Roma fu eliminata dal Porto; in Coppa Italia andò invece a cozzare contro l'Inter: dopo aver vinto 4-1 all'Olimpico, la Roma non fu capace di arginare il contrattacco nerazzurro a San Siro, e fu 0-3. Quando Carlo Ancelotti, il 12 ottobre 1982, sesta giornata di campionato, avversario il Cesena, rientrò in squadra, la Roma prese la corsa verso lo scudetto. Falcao sì, ma non solo lui.

Tratto da La mia Roma del Corriere dello Sport

 

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